Italia ancora poco attrattiva

Che l’Italia sia poco attrattiva per gli investitori internazionali è cosa nota. Ma negli ultimi tempi abbiamo assistito a un rinnovato afflusso di capitali esteri verso il nostro paese. Proprio per intercettare questo ritorno di interesse, il sistema Italia deve ora mettere in atto una serie di interventi strutturali per rendersi più appetibile e attirare non soltanto gli investimenti finanziari, ma soprattutto gli investimenti diretti esteri di lunga durata.

A questo scopo, l’Aibe (Associazione delle banche estere operanti in Italia) ha realizzato in collaborazione con Ispo Ricerche il primo Osservatorio sull’attrattività dell’Italia presso gli investitori esteri, che sarà aggiornato ogni sei mesi. Il risultato del primo monitoraggio, presentato ieri a Milano, non premia il nostro Paese: l’indice di attrattività – elaborato sulla base di interviste a operatori internazionali “apicali” (fondi di private equity, fondi sovrani, investitori istituzionali, studi legali, operatori dell’informazione e camere di commercio estere) – si ferma a 33,2 su una scala da 0 a 100. «Un valore molto basso – commenta il presidente di Aibe Guido Rosa – che può migliorare soltanto attuando efficaci e credibili politiche di sviluppo e creando un sistema Paese capace di dare certezze, soprattutto in materia fiscale e giuridica».

A pesare sul giudizio degli interlocutori esteri sono in particolare eccesso di burocrazia, scarsa flessibilità del mercato del lavoro, incertezza del quadro normativo e carico fiscale. Né sembra che potranno influire su questo giudizio due eventi attesi invece con grandi speranze dal mondo politico e industriale nostrano, ovvero il semestre di presidenza italiana della Ue ed Expo 2015: appena un terzo degli intervistati ritiene che quest’ultimo possa contribuire ad aumentare l’attrattività del Paese. Tra i fattori viceversa a favore dell’Italia ci sono la «qualità delle risorse umane» e la «solidità del sistema bancario». A sorpresa, non risultano essere un freno elementi come l’inefficienza delle infrastrutture o il livello di corruzione.

Il vento però sta cambiando, fa notare Carlo Maria Pinardi, presidente Ispo, e gli interlocutori esteri dimostrano fiducia e interesse per il governo Renzi e il cambio di passo annunciato. «Non credo che assisteremo a una rapida inversione di tendenza per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri – dice Pinardi –. Lo studio dimostra che siamo ancora indietro rispetto agli altri Paesi, con una valutazione sull’attrattività che è la metà di Usa e Germania. Ma non siamo messi poi così male: Russia, Spagna e persino Francia sono considerati mento attrattivi di noi». Le priorità individuate dallo studio sono interventi per dare chiarezza e certezza al quadro normativo, ridurre il carico fiscale e i tempi della giustizia civile, rendere più flessibile il mercato del lavoro.

Tutti interventi su cui – ha garantito il viceministro dell’Economia Luigi Casero – il governo si impegna a lavorare «con un calendario preciso»: semplificazione della pubblica amministrazione e del fisco nei prossimi due mesi; velocizzazione della giustizia civile (ad esempio attraverso il processo civile telematico già sperimentato a Milano e Torino); detassazione degli utili delle imprese. La parola d’ordine sembra essere «certezza», un concetto ribadito anche da Giuseppe Recchi, presidente Eni e responsabile investimenti esteri per Confindustria: «Gli interlocutori stranieri chiedono una controparte solida e certa con cui dialogare e confrontarsi, capace di prendere impegni duraturi. Non si lamentano di tasse troppo alte, ma di regole fiscali che cambiano in continuazione, costringendoli ogni volta a rivedere la pianificazione». Aumentare l’attrattività del nostro Paese, aggiunge Recchi, «significa creare condizioni migliori per fare impresa non solo per gli investitori esteri, ma anche per le nostre aziende». Quello che occorre è innanzitutto una trasformazione culturale: «Oggi la competizione non è con i Paesi che producono a basso costo – prosegue Recchi –. Le grandi multinazionali non cercano basso costo del lavoro, ma qualità di produzione ed efficienza di servizi che un Paese può offrire loro. L’Italia può fare leva su 60 anni di storia industriale che poche nazioni sono in grado di vantare. Quello che ci manca è l’organizzazione e la capacità di darci e seguire strategie di sviluppo precise, in tutti i settori, dall’energia al turismo».

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