Ma l’America può farcela

«Anche dopo il terremoto causato da Lehman Brothers. io sono ottimista sull’America e sui fondamentalieconomici: oggi esistono punte di domanda molto forti nei settori che sono al cuore dell’economia, dalle infrastrutture  all’energia, fino all’health care» Giuseppe Recchi. ingegnere piemontese di 44 anni, sa bene di che cosa parla: il suo è il classico «osservatorio privilegiato» Dal gennaio 2008 Recchi ê il top-manager cui il colosso statunitense GeneralElectric ha affidato il timone aziendale non solo in Italia, ma anche in tutti i Paesi della ex Iugoslavia, più Albania, Grecia e Cipro. Un incarico non da poco: su un totale di 173 miliardi di fatturato globale, per 320 mila addetti, l’Italia da sola nel 2007 ha generato 9 miliardi di volume d’affari, con oltre 7 mila dipendenti. E in questi mari tempestosi il colosso naviga portandosi dietro un forte attivo: l’anno scorso l’utile netto consolidato di GE è stato di 22,5 miliardi, il 16% in più rispetto al 2006.

Ingegner Recchi, davvero lei oggi è ottimista sull’ America?

Il mio è forse un punto di vista di parte: lavoro in un gruppo che è diversificatomolto bene, tra manifatturiero  e servizi finanziari, e che oggi opera nei settori a più elevata domanda. Ma ancora oggi io sono fermamente convinto che i fondamentali degli Stati Uniti, come di buona parte dell’Europa. siano positivi.

Ma le potenzialità di sviluppo non verranno affossate dal crac?

Partiamo da questa considerazione di base: ci sono due mondi che corrono paralleli, quello dell’economia reale e quello della finanza, II primo si sviluppa, ha punte di domanda altissima, su vari mercati.

Che cosa ritende dire?

Che oggi atterri all’aeroporto di Pechino e credi di essere nel Paese più ricco dei mondo: poi scendi al John Fitzgerald Kennedy airport di New York e ti pare di essere in un Paese sottosviluppato. Le cose, però, non stanno proprio cosi.

E il  mondo della finanza?

La finanza speculativa è tutto un altro mondo. Per anni troppi operatori hanno gestito gli asset allungando all’inverosimile la catena degli intermediari. Così, da tempo, a molti dei volumi trattati non corrispondono più i beni reali sottostanti.

Anche voi operate nell’ immobiliare e nella finanza, però.

Prendiamo l’immobiliare. GE fa operazioni sul lungo termine Nel realestate abbiamo un portafoglio che vale 87 miliardi di dollari, ma la filosofia con cui logestiamo è «industriale»: gli immobili sono in portafoglio per restarci a lungo termine, e per essere venduti solo quando è il momento giusto: oppure per essere tenuti a rendita. Mentre le risorse delle vendite servono per acquisire altri asset.

Una filosofia prudente, che però le Borse non hanno premiato, vero?

Non voglio sembrare un «promoter» di GE a prescindere, ma certo la percezione cii indeterminatezza del rischio diffusa sui mercati riesce a colpire indistintamente il buono e il cattivo: chi ha business strutturati e chi invece ha spinto lo sviluppo oltre i Imiti delle garanzie sostenibili.

Insomma, lei dice che è tornato il momento di distinguere la finanza dall’economia reale, ma anche il sano dal «malato»: è così?

Prendiamola in questo modo: anche GE tratta immobili, ma l’esposizione di rischio è bassa, Vuole sapere perchè?

Perché?

La nostra politica, anche neimomenti di mercato in crescita, non ci ha mai fatto sopravvalutare gli immobili e ci troviamo con un portafoglio che ha un 68% di loan to value e un portafoglio di mutui di cui nessuno supera l’80% di loan to value se non controgarantito da una polizza assicurativa. E circa il 100% dei nostri mutui residenziali sono fuori dagli Stati Uniti, dove sono meno volatili e rischiosi.

FONTE: Economy

AUTORE: Maurizio Tortorella