Hermanas e TH sono due aziende bitontine fondate negli anni ’60 che, dando lavoro a centinaia di persone, soprattutto donne, ha contribuito a formare il tessuto economico e sociale della città per diversi decenni. La loro storia è stata riportata alla luce di recente, grazie a un post su Facebook pubblicato dal divulgatore storico Pasquale Fallacara.
Hermanas, fondata nel 1967 da Nicola Colella, si afferma sul mercato per i suoi capi di biancheria intima di ottima qualità. In pochi anni arriva ad assumere trecento dipendenti. Quando il fondatore decide di lasciarla, alla guida c’è Salvatore Liaci, che prende il controllo dell’azienda in contrasto con la proprietà. Sia Hermanas che TH non riescono però a sopravvivere alla crisi degli anni ’80 e quindi soccombono, facendo perdere il posto di lavoro a tantissimi operai.
Clara Urbano, all’epoca giovane segretaria della sezione bitontina del Partito Comunista, ricorda la chiusura delle aziende come “un momento drammatico”, dal momento in cui “Hermanas e TH, oltre ai loro dipendenti, davano lavoro ad un indotto enorme: c’era all’epoca un migliaio di piccoli fasonisti che vivevano delle commesse delle due aziende”. “Per la prima volta – racconta – il avoro delle operaie veniva contrattualizzato e le donne diventavano pilastro delle famiglie, portando a casa uno stipendio fisso. Fu una “rivoluzione” sociale ed anche urbanistica perché Hermanas e TH diedero impulso allo sviluppo della zona artigianale, pur contestatissima perché mancavano all’epoca fognatura e servizi. L’idea innovativa fu quella di creare casa e bottega per i piccoli imprenditori artigiani, in un’area prossima all’autostrada. Dopo il fallimento, sulle ceneri di quelle due aziende si è tirato a campare senza riuscire a costruire un tessuto produttivo capace di consolidarsi e guardare al futuro”.
Una vicenda che, “dopo gli anni della cassa integrazione che ha dato da mangiare a centinaia di famiglie bitontine”, è “finita nel dimenticatoio”. Non di chi l’ha vissuta in prima persona, come Michele Berardi, ex dipendente della TH, che rammenta: “La TH distava circa cinquecento metri dalla Hermanas: erano due fabbriche gioiello, era addirittura in progetto di creare l’asilo nido e la mensa aziendale, poi tutto è andato in malora. Fu bloccato il castelletto bancario e le aziende furono condannate a morte. Avevamo avuto incontri in Regione, intervenne anche il senatore Gaetano Scamarcio, ma i Tagliamonti decisero di tirarsi fuori dopo aver dato una piccola liquidazione agli operai. Mentre per la Hermanas fu firmata la cassa integrazione, noi della “TH” riuscimmo ad ottenere solo la disoccupazione speciale”.
A seguito della chiusura di Hermanas e TH, molti laboratori di confezione seguirono la stessa sorte, alcuni chiudendo, altri delocalizzando. Tutti vittime della crisi economica e della globalizzazione che hanno lasciato in piedi solo le realtà più solide. Tra queste la Fil Lampo di Mimmo Piperis, la cui sede sorge proprio nell’opificio dell’ex Hermanas.