Alessandro Benetton: “Il segreto del mio successo? La mia famiglia”

Imprenditore e sportivo, soprattutto sugli sci, Alessandro Benetton di sé ama l’irrequietezza

A guardarlo sembra un ragazzino. Camicia denim, jeans slavati e sneakers ai piedi: il suo biglietto da visita. Ma, dietro l’aria da Peter Pan, si nasconde un uomo determinato, che sa da quando è nato quel che vuole e che sa mixare sogni e strategie con il piglio dell’imprenditore navigato. In altre parole Alessandro Benetton.

Una vita, la tua, giocata su due piani. Da una parte la solidità: la famiglia, radici, piedi per terra. Dall’altra una irrequietezza di fondo, che ti ha portato a tentare diverse avventure, come uomo e come imprenditore

“È proprio così. Fin da piccolo volevo sempre stare dall’altra parte. La bicicletta è stata il mio primo tagliando per la libertà. Mi piaceva andarmene in giro per la campagna di Treviso, nei campi dei contadini oppure giocare alle biglie nei cortili dei grandi palazzi, dove vivevano i miei compagni di scuola. Ricordo che mia madre ci diceva sempre: “Abbiamo un giardino tanto grande. Perché non giocate qui da noi tutti assieme?”. Ma a me piaceva andarmene in giro. Sentivo molto questa voglia di non stare dentro uno schema, una linea di condotta che poi avrebbe caratterizzato tutta la mia vita. In altre parole, ho sempre sentito la necessità di fare un percorso slegato da quello che gli altri avevano previsto per me. Quando sei piccolo non te ne rendi conto, è ovvio, poi da adulto lo fai con maggiore consapevolezza. Soprattutto perché scopri che questa tua irrequietezza di fondo è un arricchimento continuo”.

Alessandro Benetton, che cosa si aspettava la tua famiglia?

Alessandro Benetton: “C’era già un percorso segnato. Allora la nostra azienda aveva investito nel mondo dello sport e di quel settore avrei dovuto occuparmi. Invece la mia volontà era un’altra: sentivo che dovevo fare la mia strada. Il perché di quell’istinto l’ho capito più tardi: in primo luogo mi divertivo e alla fine mi dava quella continua conoscenza aggiuntiva che io poi riuscivo a sfruttare e ad applicare in altri settori e in altre occasioni”

Nascere nella famiglia Benetton e desiderare di camminare da solo. Mica da tutti.

Alessandro Benetton: “Come dicono gli orientali, quando tu hai una pianta importante vicino a te, da una parte hai la serenità di sentirti protetto, dall’altra, se vuoi crescere anche tu, sai che non ci puoi stare troppo vicino: quella pianta finirà per rubarti l’acqua e farti ombra”.

Il fatto di essere nato a Treviso, in una piccola città di provincia, quanto ha influenzato la tua ansia di libertà?

Alessandro Benetton: “È stato un buon trampolino. Da ragazzo ho vissuto in campagna, alla fine ho fatto una vita molto semplice. Lo considero un grande patrimonio quello di avere imparato i fondamentali della vita molto presto, con gli amici che erano figli di contadini e che durante il giorno aiutavano nei campi i loro genitori. Io mi sono sentito sempre alla pari con loro. E questo patrimonio mi è tornato utile quando mi sono trovato ad affrontare da solo i problemi veri della vita. È una dimensione che ti porti dentro anche quando ti trovi a esplorare il mondo. Io mi porto ancora dentro gli odori, i colori di quel piccolo mondo di provincia, nel quale sono nato e cresciuto. Mi spiace solo che i miei figli, che mi sforzo di crescere nella maniera più semplice possibile, vivano in un altro ambiente!”

Alessandro Benetton, come vedi i tuoi figli in relazione a un passato così speciale?

Alessandro Benetton: “Le nuove tecnologie offrono un’opportunità e ci pongono le basi per tanti miglioramenti. Cerco di controllare il loro modo di porsi nei confronti degli strumenti che si trovano in mano, dai tablet ai telefonini. Per il momento ha iniziato solo la mia figlia più grande: per fortuna sta capendo che il web è uno strumento da utilizzare, ma dal quale non devi farsi utilizzare”

Ritorniamo alla tua ansia di libertà, alla tua voglia di conquista. Il primo volo che hai spiccato è stata l’America, Boston, dove ti sei recato a studiare dopo la maturità.

Alessandro Benetton: “Ricordo ancora il giorno che ho fatto la valigia per partire. Avevo 19 anni. Da una parte la curiosità, l’entusiasmo, hai gli occhi che brillano, perché a quell’età sei consapevole di vivere un’esperienza straordinariamente formativa per il tuo carattere e per la tua vita. Dall’altra, la paura. Partivo senza alcun sostegno economico. La mia famiglia non mi ha mai allungato la classica busta del figlio di papà. Ho dovuto arrangiarmi da solo. Sapevo un po’ l’inglese: ho bussato all’ufficio ammissione all’università e ho chiesto come funzionassero le regole del giocato. Mi hanno spiegato come ci si organizzava con gli esami, con le lezioni. Sono partito da zero. Di questo sono grato ai miei genitori, che non si sono mai preoccupati di me. Quella che può sembrare una crudeltà, in realtà finisce per essere un tuo patrimonio, perché ti sentito a tuo agio con te stesso. Anche la scelta di affrontare dei rischi, di mettermi a fare l’imprenditore, di mettermi in proprio, parte proprio da questa crescita interiore che sono riuscito a fare”.

Quale è stato il tuo primo rischio da imprenditore?

Alessandro Benetton: “Ci sono state tante regole che ho dovuto imparare in fretta. La prima è che di fronte a un problema non ti devi scoraggiare: lo analizzi da tutti i punti di vista, ti arrotoli le maniche e lo affronti. Tutte le difficoltà, alla fine, hanno una loro soluzione”.

Ti sei mai sentito arrivato come imprenditore?

Alessandro Benetton: “Non ho mai avuto la certezza di avercela fatta. Il mondo degli affari oggi è molto complesso. Va a una velocità strepitosa. Quello che fino a qualche anno fa era un successo in pochissimo tempo si sovverte. Non puoi avere certezze. La certezza che ho avuto è vedere, che dopo vent’anni che faccio questo mestiere, tutto funziona bene. Quando vedi che il tuo management va avanti bene anche senza di te, ti senti gratificato: vuole dire che hai saputo insegnare un metodo, costruire un sistema in grado di funzionare anche senza la tua presenza.”

Alessandro Benetton, la tua vita sembra essere messa continuamente in discussione. Quasi che tu viva ogni tappa come una sfida. Da un lato è bellissimo, perché è quello che ci tiene vivi, dall’altro è enormemente stressante per te e chi ti sta vicino. Ci hai mai pensato?

Alessandro Benetton: “La tua domanda è profondamente vera. Io sono un uomo fortunato. Ognuno di noi è figlio della sua stessa instabilità. È vero, una fatica pazzesca. Povera Deborah, che mi deve sopportare continuamente. Cerco degli stratagemmi: il tempo libero, la famiglia, i miei hobby, lo sport. Mi rilasso concentrandomi su un obiettivo. C’è chi si rilassa in spiaggia a prendere il solo, io me la godo così.”

Non provi mai nello sport il senso della fatica? Non ti chiedi mai “ma chi me lo fa fare”?

Alessandro Benetton: “Ma scherzi? Continuamenti. Me lo chiedo anche quando vado al lavoro. Ma non mollo. Guardo a quello che mi è stato chiesto recentemente, cioè prendere in mano le redini dell’azienda Benetton, esattamente un anno fa. È un’azienda storica, ma si deve confrontare con due grandi problematiche. La prima è quella di un mercato che, al di là del marchio mondiale, è al 70 per cento concentrato in Europa. E poi c’è un modello di business che è figlio di una grande intuizione, ma di una intuizione che risale a 45 anni fa. Oggi ci sono realtà imprenditoriali che nascono da intuizioni più moderne e avanzate rispetto alla nostra. Ma questi limiti costituiscono la mia sfida. Ed è una sfida che va vinta”

Se dovessi concretizzare il segreto del tuo successo?

Alessandro Benetton: “Non ho dubbi. La famiglia che mi sono costruito: Deborah e i miei figli. Anche questa realtà è nata in maniera inaspettata. Tutti facevano previsioni poco ottimistiche sul nostro conto. Eppure ha funzionato. Sarà perché io e Deborah ci assomigliamo molto. Lei è una donna concreta, concentrata come me sui suoi obiettivi. Anche lei, prima di conoscermi, aveva viaggiato per il mondo, ma non aveva voluto perdere, come me, la prospettiva del piccolo paese in cui era nata e che poi ti porti dentro per tutta la vita.”

Come mai vi si vede molto poco in giro?

Alessandro Benetton: “Non amiamo la mondanità. Non ce ne frega proprio niente. Viviamo in una dimensione nostra, molto normale. Io viaggio molto per lavoro, lei fa attività di beneficenza. Tutti e due abbiamo preso atto che la qualità del tempo da dedicare ai nostri figli è la più importante. Perciò abbiamo deciso di investire principalmente su questo. Il tempo è il vero patrimonio che lasci ai tuoi figli, fatto di disponibilità, di affetti, di emozione condivise. Ci piace stare insieme: fare gite, viaggi, sport.”

Che padre sei?

Alessandro Benetton: “Sono un padre capace di fare il pagliaccio, come se avessi 14 anni, e non si capisce chi è il più grande e chi è il più piccolo. Ma al momento giusto tengo in mano io le redini. L’essere alla portata dei tuoi figli non ti toglie l’autorevolezza. Al contrario, la alimenta”

Alessandro Benetton, Avete deciso di mostrare su “Chi” le foto mai viste del vostro matrimonio. È la prima volta. Una cerimonia riservata, particolarmente intima.

Alessandro Benetton: “Quando sapevamo dell’arrivo di Agnese ci era già venuta l’idea di sposarci. Ma abbiamo rimandato per la troppa pressione mediatica che si era creata. Poi è capitata la classica domanda dei bambini: “Perché non siete ancora sposati?”, che ci ha piacevolmente spiazzata. Diciamo che siamo trovati nel posto giusto al momento giusto. Eravamo immersi nel nostro primo vero viaggio insieme negli Stati Uniti. Io là ci avevo vissuto, siamo stati a Boston a vedere la casa nella quale ero stato ragazza. Ci è sembrato naturale sposarci lontano da tutti, solo con i nostri figli, la vita che io e Deborah avevamo costruito insieme”.

Se tra qualche anno uno dei tuoi figli dovesse dirti: “Papà, faccio la valigia e me ne vado”, che cosa gli dirai?

Alessandro Benetton: “Se ha le idee chiare, sarei contento per lui. Desiderio e fatica devono andare di pari passo: se non insegni questo, non insegni il vero segreto della vita. Come genitore devi insegnare a trasmettere l’emozione della conquista. Io ho lavorato alla Goldman Sachs e con il mio stipendio mi sono pagato il master. Non c’è stato soddisfazione più grande per me”.

Alessandro, un’ultima curiosità, lo chiedo allo sportivo. Chi scia meglio. Tu o Deborah?

Alessandro Benetton: “Deborah scia meglio di tutti”

 

FONTE: Chi
AUTORE: Alfonso Signorini