«È solo quando scende l’ alta marea che scopri chi stava nuotando nudo».
La frase è attribuibile al guru dei mercati Warren Buffet ma ormai è diventata un modo di dire molto comune negli Stati Uniti che ben si presta a descrivere l’ attuale momento del ciclo finanziario. La crisi dei mutui subprime ha “messo a nudo” chi aveva portato avanti operazioni troppo rischiose ed è proprio in queste fasi che i colossi dalle spalle larghe come General Electric possono approfittarne. «Questo è un momento favorevole per crescere in Italia, le difficoltà nel mercato del credito hanno rallentato l’ attività di private equity, i prezzi delle aziende si stanno abbassando. E noi, come General Electric, abbiamo una grande liquidità essendo anche una delle seisette aziende al mondo a vantare un rating tripla A», spiega Giuseppe Recchi, dall’ agosto 2007 presidente di General Electric per l’ Italia e il sud est Europa. I numeri della conglomerata di Fairfield, Connecticut, sono impressionanti e paragonabili a quelli di uno Stato di medie dimensioni. Il bilancio 2006 firmato dal presidente e ceo Jeffrey Immelt si è chiuso con un fatturato di 163 miliardi di dollari e un utile netto di 20,5 miliardi con trend in crescita in tutti e sei i business fondamentali: infrastrutture, medicale, servizi finanziari, credito al consumo, industria manifatturiera, media e intrattenimento. Nel 2007, per la prima volta nella sua storia, la General Electric registrerà nel suo bilancio più ricavi dai 100 paesi in giro per il mondo piuttosto che negli Stati Unti, il segnale di una diversificazione totale del business. «Non è così azzardato paragonare la gestione di un’ azienda come la General Electric a quella di uno Stato, la complessità dei problemi quotidiani è infatti simile a quella di un paniere che compone il pil di un paese come l’ Italia, la differenza è che non devi gestire un consenso quotidiano ma devi creare valore», spiega Recchi. Il manager 43 enne, laureato in ingegneria al Politecnico di Torino, discendente di una famiglia con una lunga tradizione nel settore delle costruzioni, non è l’ unico italiano ad essere riuscito a scalare la vetta della General Electric. Il precedente illustre è rappresentato da Paolo Fresco, per diversi anni numero due del gruppo a fianco di Jack Welch, uno dei manager più apprezzati d’ America. E anche oggi Ferdinando BeccalliFalco è presidente e ceo della Ge International, cioè di tutte le attività internazionali del gruppo. Come spesso succede, Recchi è entrato in Ge per un colpo di fulmine. Nel 1995, in seguito alla scomparsa del padre, la Recchi si fuse prima con la Ferrocemento e poi acquisì il gruppo Condotte. In seguito a queste due operazioni la famiglia Recchi uscì completamente dall’ azionariato. Giuseppe lavorava nella divisione americana del gruppo di famiglia e una sera a cena Paolo Fresco lo presenta a Jack Welch con cui entra subito in sintonia. Il primo incarico nella Ge di Giuseppe Recchi è nell’ area finanziaria, la Ge Capital che ha sede a Stamford. Poi va a Londra dove in poco tempo diventa numero uno della divisione che si occupa di corporate e project financing, private equity e capital market. Il numero di aziende acquisite dal gruppo General Electric nel corso degli anni è ancora una volta impressionante: 360 nel periodo 20002007 per un valore complessivo di 223 miliardi di dollari, di cui 113 miliardi solo nel settore dei servizi finanziari. Con un’ azienda di tal fatta, con un consiglio di amministrazione che ogni settimana processa decine di operazioni, non è facile per Recchi mettere l’ Italia in cima ai pensieri di Immelt, il boss. «La sintesi di Welch era chiara, la Ge doveva essere o prima o seconda nei settori dove operava ricorda Recchi A questo principio Immelt ha aggiunto una preferenza, quella per i settori “motori della crescita” o “generatori di cash”». Ecco così spiegati i grossi investimenti nella sicurezza, nel medicale, nelle infrastrutture di base, nell’ acqua che sarà il petrolio del futuro. E nei servizi finanziari con particolare riguardo al credito al consumo. «Quando parlo a Immelt dell’ Italia gli dico che siamo la settima economia del mondo, dalla quale non si può prescindere, con un forte export ma anche che l’ Italia non è mai stata un paese internazionale, cioè con una capacità di far parte di un villaggio globale. Questo fatto, per un gruppo come Ge, può rappresentare un’ opportunità». L’ esperienza di Ge in Italia, in effetti, si può considerare sicuramente positiva. L’ azienda americana, nel lontano 1994, rilevò il Nuovo Pignone dall’ Eni, la prima vera privatizzazione di un processo che durò un decennio. Ai tempi si temeva che il passaggio a una multinazionale di un’ azienda radicata a Firenze avrebbe portato fuori dall’ Italia i centri decisionali e creato problemi occupazionali. In realtà, per una volta tanto, è successo il contrario. Il fatturato è passato in dodici anni da uno a 8 miliardi di euro e nel 2010 dovrebbe arrivare a 10 miliardi attraverso le acquisizioni. La sede di Firenze è diventata l’ headquarter mondiale del settore Oil&Gas della Ge, un business specifico e indipendente. «Con Ge il Nuovo Pignone è sbarcato con le sue turbine e compressori sul mercato americano che ora rappresenta il 25% del suo giro d’ affari, inoltre Ge ogni anno investe 100 milioni di euro in Italia in Ricerca & Sviluppo». L’ “education” è un altro di quei mondi ai quali i colossi come Ge dedicano svariate risorse mentre i paesi come l’ Italia restano al palo. Per addestrare i 300 mila dipendenti al credo di Immelt il gigante di Fairfield spende un miliardo di dollari all’ anno concentrati su Crottonville, un cittadella vicino a New York. Per la R&S le cifre sono assai più elevate: i poli tecnologici di Singapore, in India, a Monaco assorbono un totale di 5 miliardi di dollari per far si che 7 mila ricercatori sfornino 25 mila brevetti all’ anno, una sorta di università applicata all’ industria in un villaggio a vasi comunicanti. In un contesto del genere, si può anche capire perché negli ultimi anni la Ge in Italia non abbia fatto altre acquisizioni eclatanti. Ha comprato la Silliani, una società di segnalamento ferroviario con sede a Firenze che fattura un centinaio di milioni e ha aperto due banche, tra cui la Ge Money, specializzata nell’ analisi globale del bilancio familiare. È in questo settore che Recchi punta tutte le sue carte nei prossimi mesi e anni. Si è interessato al destino di Italease e a quello di Interbanca, e dovunque ci sia una rete di distribuzione la Ge è pronta a sferrare l’ attacco. «Le operazioni vanno fatte se hanno un senso industriale, abbiamo costruito una mappatura delle cose che ci interessano e ora bisogna solo trovare l’ occasione». Arriverà, basta solo capire chi è rimasto a nuotare nudo e farsi trovare preparati all’ appuntamento. Da buon velista Recchi sa aspettare che il vento giri nella direzione giusta. Con il Benbow, la barca di famiglia sempre all’ ancora nella baia di Portofino, il padre Enrico ha detenuto il record della Giraglia per ben 14 anni. Ma adesso, in attesa del grande colpo, la Ge guarda anche a come finirà la crisi dell’ Alitalia. Il gruppo è esposto per 1,2 miliardi di euro come noleggiatore di aeroplani, tuttavia se la compagnia di bandiera smettesse di pagare le rate di leasing gli americani sarebbero solo contenti. Vista la richiesta di vettori, anche usati, da parte di altre compagnie nel mondo, ricollocare i velivoli Alitalia sarebbe un gioco da ragazzi, per di più con un buon margine di profitto. Operazioni a cui i ragazzi di Fairfield sono abituati.Fonte