Invest in Italy

Lombard: Nei flussi di investimenti diretti esteri in Italia, l’Oriente, Cina e Giappone in particolare, ha sensibilmente accresciuto la sua quota. Per chi sta guardando all’Europa che cosa rende attrattiva l’Italia rispetto ad altre economie?

Recchi: È vero che sugli investimenti che entrano in Italia è aumentata la quota dall’Asia, ma se si considerano in totale gli investimenti dall’Asia in Europa la quota dell’Italia è inferiore a quella di altri paesi europei, soprattutto a livello di stock. Tuttavia l’Italia continua ad avere delle chances competitive importanti perché oggi chi investe in Europa lo fa soprattutto per comperare tecnologia in un mercato che è a bassa crescita. L’Italia, oltre ad essere un mercato interessante per dimensione, offre rispetto ai suoi peers europei qualità del prodotto, tecnologie, brand e opportunità di produrre localmente con elevate competenze, che sono un tratto peculiare del Paese. Un investitore è sempre alla ricerca di condizioni di interesse particolari che giustifichino la diversificazione geografica, e l’Italia ha la possibilità di offrire queste condizioni in diversi settori, dall’alimentare al turismo, dal manifatturiero hi-tech alla meccanica e alla meccatronica. Essere “Italia” comporta un vantaggio raro nel mondo: quello di combinare una tradizione di qualità nell’industria manifatturiera a brand con una percezione evocativa internazionale molto forte.

Infine gioca a favore della scelta del Paese la cosiddetta “qualità della vita”, cioè l’insieme di benessere e vivibilità che sono condizioni altrettanto importanti per indurre più facilmente le persone a trasferirsi a gestire l’attività locale. Credo che un manager preferisca lavorare nella sede di una società internazionale basata a Firenze piuttosto che nelle fredde pianure dell’Europa Centrale.

Lombard: Come mai allora la quantità di investimenti diretti esteri in Italia sta diminuendo?

Recchi: Purtroppo queste qualità intrinseche sono bilanciate da una serie di fattori negativi legati soprattutto alle gestione degli imprevisti. Le imprese multinazionali non temono le difficoltà di uno specifico mercato anche perché, grazie alla loro dimensione, sono attrezzate per affrontare i rischi e le criticità che esso può presentare. Quello che spaventa l’investitore estero sono piuttosto le variabili non calcolabili, al di là del rischio imprenditoriale. Penso all’incertezza della burocrazia, alla scarsa programmazione dei piani di investimento nelle infrastrutture e nelle strategie energetiche. Ovvero, a quegli atteggiamenti della pubblica amministrazione basati su orizzonti di breve termine che generano condizioni di prevedibilità molto scarse e lentezza eccessiva di risposta delle controparti amministrative e che fanno sì che il ritorno potenziale dell’investimento non possa essere quantificato.

Lombard: Un esempio di questo atteggiamento controproducente?

Recchi: Il fatto di non avere saputo creare un’agenzia deputata all’attrazione degli investimenti esteri con una forte delega negoziale. Quella esistente, Invitalia, segue singoli progetti ma è lontana dall’essere l’interlocutore al cui tavolo un investitore estero possa sedersi a negoziare tutti gli aspetti del suo insediamento in Italia.  Servirebbe piuttosto una struttura, sul modello delle Conferenze di servizi, in grado di produrre un accordo tra una società privata che voglia insediarsi su un territorio e tutte le controparti interessate: pubblica amministrazione, forze sociali, sindacati, organizzazioni ambientali. In Italia, al contrario, nel corso della vita di una start-up le controparti negoziali non solo si moltiplicano come funghi ma agiscono spesso in contraddizione le une con le altre, con il risultato di impedire la realizzazione del beneficio superiore per il sistema Paese.

Lombard: E’ un problema di norme o di deleghe specifiche?

Recchi: Direi piuttosto che è un problema di autorità e responsabilità delle parti che sono coinvolte. Invitalia non può infatti imporre una decisione ai livelli locali dell’amministrazione pubblica nè una priorità di sistema per avviare un negoziato con un investitore estero. Tutt’al più oggi Invitalia può cercare di coordinare l’azione dell’investitore estero sul territorio mentre sarebbe necessario coordinare e potenziare l’azione del territorio verso l’investitore estero.

Lombard: In concreto che cosa significa?

Recchi. Quando ero in General Electric, avevamo deciso di aprire in Sicilia un centro di ricerca nel settore del segnalamento ferroviario ad alta tecnologia, prodromico alla produzione di componenti a specifica europea, con l’obiettivo di costruire stabilimenti all’avanguardia per aggredire dall’Europa il mercato mondiale. Si trattava di un primo passo, quindi, ma strategico. Avevamo puntato sulla Sicilia perché oltre agli aspetti positivi dell’Italia che ho elencato prima, gli investimenti in questa regione godono di incentivi non solo dei Fondi europei di sviluppo ma anche di fondi nazionali e regionali. Presentate le domande necessarie, abbiamo avviato i negoziati con le autorità locali, nazionali e con le Università per la selezione dei talenti, individuando il personale adatto e tenendolo in stand by in vista di finalizzare l’operazione. Purtroppo le trattative sono andate avanti con una tale lentezza e mancanza di coordinamento che abbiamo dovuto rinunciare al progetto.

Lombard: Come è finita?

Recchi: Grazie alla nostra determinazione siamo riusciti a far sì che, per quanto forti le mire dei miei colleghi francesi, spagnoli e polacchi, l’investimento si facesse in Italia, a Firenze, dove abbiamo incontrato un’amministrazione regionale molto efficiente che si è posta come controparte credibile nel gestire il processo, con grande capacità di interlocuzione e trasparenza. L’episodio indica che c’è un approccio di sistema sbagliato.

Lombard: L’Italia ha un deficit strutturale nella costruzione di infrastrutture soprattutto quelle volte ad assicurare reti di distribuzione (trasporti, energia, telecomunicazioni) più capaci ed efficienti. Sarà questa la grande opportunità per i fondi sovrani, stando anche alle ultime decisioni del governo di accelerare al 2013 alcune grandi opere per circa 120 miliardi di investimenti?

Recchi: E’ certo un’opportunità per il Paese ricevere tali investimenti perché il beneficio dell’infrastruttura ricade sulla crescita di tutta l’economia. Ma è senza dubbio un’opportunità anche per l’investitore perché l’Italia è inserita in una rete europea che comprende infrastrutture della mobilità e dell’energia per le quali, grazie alla sua posizione geografica, l’Italia è un hub naturale. Inoltre, poiché l’investimento nelle infrastrutture è garantito dalla stabilità del sistema regolatorio e normativo, per un fondo sovrano è più facile investire in un aeroporto, in una ferrovia, in un’autostrada italiana piuttosto che in un’analoga opera in un paese ad alto rischio geopolitico. E’ opportuno, tuttavia, che il Paese non dia segnali di preoccupazione inutili: quando il mondo vede che non riusciamo a fare l’allacciamento dell’alta velocità sulla mappa europea via Frejus per logiche puramente locali e private, il messaggio agli investitori è scoraggiante.

Lombard: Il Tesoro, attraverso la CDP, sta mobilitando sulle opere strategiche parecchie risorse del sistema bancario nazionale. È un volano per gli investimenti esteri?

Recchi: È positivo che la CDP si stia qualificando come una sorta di fondo sovrano, che è giusto che l’Italia abbia, ponendosi inoltre come garante verso investitori terzi. Certe industrie hanno bisogno di grandi capitali e la CDP può espletare questo ruolo. Sono tuttavia preoccupato dai segnali negativi che arrivano riguardo la gestione degli aspetti regolatori poiché rischiano di sollevare perplessità sulle garanzie di stabilità del quadro normativo nel lungo termine. L’effetto retroattivo dell’incremento della Robin tax (istituita nel 2008, per colpire gli extraprofitti nel settore petrolifero, ndr) sull’energia e l’estensione alle piccole aziende è appunto uno di quei segnali. Non discuto la validità dello strumento, perché in caso di necessità le risorse da qualche parte vanno reperite, ma ritengo che sia un segnale di pericolo agli investitori esteri creare effetti retroattivi su investimenti già avviati. Gli investimenti nelle infrastrutture hanno una vita media di 15-30 anni e, soprattutto nel mercato dell’energia, occorre stabilire una linea ancorata a dei parametri certi: starà poi all’investitore decidere quanti rischi correre in funzione dei ritorni economici prevedibili. Ma per chi ha già investito in un impianto è difficile fare i conti con un cambiamento dei parametri in corso d’opera.

Lombard: Quindi?

Recchi: Credo che quanto più il sistema italiano si europeizza, creando un quadro normativo omogeneo al nostro mercato di riferimento, l’Europa, tanto più si elimina l’incertezza peculiare del rischio Italia. Per essere competitivi in un mondo globalizzato occorre avere comportamenti e regole uniformi comprensibili da tutti. Lo conferma l’Inghilterra che, grazie alla lingua e alla common law, è stata patria delle prima grande globalizzazione americana. Pensi che, nel diritto del lavoro italiano, ci sono passaggi intraducibili in inglese nel loro vero significato etimologico.

Lombard: Saltata l’opzione nucleare dopo il recente referendum, ritiene che la produzione di energia da fonti rinnovabili, grazie anche agli incentivi pubblici, rappresenti una buona opportunità di business?

Recchi: Penso di si perché si è aperta, con i sussidi alle energie rinnovabili, una nuova industria ad alta remunerazione, che ha creato lavoro, imprenditori, tecnologie e voglia di rischiare. Nel bilancio costi/benefici dell’operazione, il governo ha deciso che i sussidi a questa nuova industria siano per il momento necessari in quanto il costo di produzione delle rinnovabili non è ancora sostenibile dalla libera vendita sul mercato. L’effetto immediato è da un lato la crescita di una nuova società e di una filiera di settore, dall’altro una bolletta energetica, pagata dalle imprese e dalle famiglie, più cara della media europea. Tuttavia non credo che il rallentamento della crescita in Italia dipenda in primis da quel costo. Se riuscissimo a eliminare tutti gli elementi di incertezza a cui facevo riferimento prima, che sono quelli che veramente rallentano il processo di sviluppo, il sistema industriale potrebbe sostenere un leggero costo in più dell’energia a fronte dei benefici creati dalla nuova industria delle renewables.

Lombard: Quindi continua ad esserci un’opportunità di investimento?

Recchi: Sicuramente, anche se bisogna vedere quanto ciò sia sostenibile dal bilancio pubblico. Di recente l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha stimato in circa 100 miliardi di euro i costi attesi per l’incentivazione della sola produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel periodo 2010-2020, di cui 10-12 miliardi di euro nel solo 2020. Ciò comporterebbe un rincaro del prezzo del KWh al lordo delle tasse di circa il 20%. Prevedo che ci sarà un revisione di questo piano anche a seguito della bocciatura dell’opzione nucleare nel referendum di giugno, che dovrà tenere conto della continua riduzione dei costi di impianto prodotta dalla tecnologia e dell’aumento della loro efficienza.

Lombard: Lei è tra l’altro nell’advisory board di Blackstone.  Ritiene che per i grandi fondi di private equity internazionali ci siano opportunità di investimento in Italia?

Recchi: Credo di sì, il private equity è un importante motore di crescita del paese. Le imprese italiane sono spesso caratterizzate da piccole dimensioni, mentre la globalizzazione richiede grandi dimensioni. Il private equity può aiutare l’imprenditore a fare il salto dimensionale necessario. Fino a pochi anni fa poteva contare per crescere solo sul suo patrimonio e sulla bancabilità della sua impresa. Oggi, può trovare dei partners che sono disposti ad investire nel suo capitale e ad allinearsi con lui nel rischio imprenditoriale scommettendo sulle sue capacità.

Lombard: A quali condizioni?

Recchi: Che l’alleanza non si limiti ad essere solo finanziaria, ma anche gestionale. In altri termini, che il private equity affianchi l’imprenditore non solo nel capitale, ma anche nello stimolo attivo a quei comportamenti finanziari e strategici che si ispirano alle best practices internazionali.

FONTE: Lombard