ATTRAZIONE FATALE…DI BEST PRACTICE

Ragionare sull’attrattività di un Paese significa studiare le condizioni per farlo crescere. Il circolo virtuoso innescato dagli investimenti esteri favorisce anche gli attori economici locali, portando risorse preziose alle imprese nazionali: una sfida per tutta l’Europa ma soprattutto per l’Italia.

Oggi il mondo sta attraversando una fase che non ha mai conosciuto prima: la globalizzazione delle imprese è sempre maggiore, il cambiamento non è mai stato così veloce, e abbiamo davanti a noi grandissime opportunità, anche economiche.

Per sfruttare questo momento dobbiamo però riconoscere le nuove dinamiche che influenzano lo sviluppo della società dopo il fallimento dei sistemi governati da economie pianificate. La crescita dei Paesi emergenti, l’interconnessione dei mercati, le forze demografiche e, soprattutto, la necessità di infrastrutture, saranno i fattori che più avranno effetto sulla crescita economica futura.

Per le sole infrastrutture, nei prossimi otto anni sono previsti investimenti tra i 10mila e i 15mila miliardi di dollari. Le cifre relative ad alcune aree geografiche in particolare sono colossali: in Medio Oriente (1.100 miliardi di dollari in Cina e 700 miliardi di dollari in Arabia Saudita, entro il 2020) ma anche nei Paesi dell’ex Europa dell’Est (un totale di 133 miliardi di dollari entro il 2013 per i nuovi membri della Ue), in America latina, in Africa.

Un ulteriore fattore in gioco è l’enorme disponibilità di liquidità dei fondi “sovrani”, pari a oltre 3mila miliardi di dollari, con cui Paesi finora protagonisti esclusivamente nel settore delle materie prima guadagneranno sempre più influenza sui mercati internazionali.

Le imprese che vogliono primeggiare a livello mondiale e che operano su scala multinazionale hanno modificato la loro logica di investimento: non è più solo importante se un investimento è conveniente nei riferimenti di un singolo mercato, ma è determinante valutare se questo è migliore o meno rischioso rispetto alle molteplici alternative su scala globale.

Una società come Ge – con oltre 350 acquisizioni completate negli ultimi sette anni per un valore complessivo pari a 236 miliardi di dollari – deve fondare la propria strategia di business valutando le condizioni di attrattività in tutto il mondo.

L’alternativa tra modelli di business non è più solo tra “Business to Business” o “Business to Consumer”, ma esiste oggi per la grande impresa anche il modello “Business to Country”, con il quale si considerano a 360 gradi i benefici di posizionarsi in un territorio piuttosto che in un altro per offrire prodotti e servizi per i quali le aree in sviluppo hanno pianificato ingentissimi budget.

Oggi, globalizzazione significa anche competizione tra i sistemi territoriali: una competizione a livello mondiale nella quale i Paesi che fanno meglio acquisiscono per crescente. Ogni Paese si trova di fronte a sfide strategiche senza precedenti che richiedono innanzitutto di decidere chi si vuole diventare ed entro quando, e la traduzione di tale decisione in azioni concrete.

Chi è responsabile della strategia economica di un Paese si trova nella situazione di dover dare risposta ad alcune domande, quali: perché un’impresa dovrebbe insediarsi da noi, e perché una già presente dovrebbe rimanervi?Perché un contribuente, una famiglia dovrebbe decidere di contribuire qui? Perché un talento dovrebbe decidere di lavorare qui o uno studente dovrebbe decidere di studiare qui?

Ragionare sull’attrattività di un Paese significa quindi ragionare sulle condizioni ottimali, pratiche e culturali, per farlo crescere.

Si tratta di una sfida per l’Europa ma soprattutto per l’Italia, dal momento che tutti i dati indicano che il nostro sviluppo è inferiore rispetto alla media europea.

Attrarre gli investimenti esteri è importante perché questi favoriscono gli attori economici locali, portando risorse preziose che automaticamente aumentano il ciclo virtuoso delle imprese nazionali.

Oltre a contribuire per una quota importante al fatturato di un Paese (in Italia le multinazionali pesano per circa 400 miliardi di euro e impiegano 1 milione di persone), in qualità di “leader globali” le multinazionali rappresentano un importante indotto di “best practice” che si trasferisce gradualmente a tutto il sistema produttivo; basti pensare che in media in Italia la produttività del lavoro è del 50% più alta nelle imprese a capitale estero che nelle imprese nazionali.

Ma, soprattutto, la presenza delle imprese straniere sul territorio rafforza lo sviluppo di competenze locali proiettandole sul mercato globale (“Global supply chain”).

Il caso Nuovo Pignone è esemplare in questo senso: comprato da Ge nel 1994, fatturava circa 1 miliardo di dollari; oggi, il fatturato di quello che è diventato il quartier generale di tutto il settore Oil&Gas del Gruppo, supera i 6 miliardi e, grazie a Ge, un’industria che era estremamente localizzata, oggi esporta il 95% del fatturato ed è protagonista di successo in ulteriori acquisizioni internazionali.

Quali sono dunque le condizioni che ci possono permettere di replicare la case history di successo del Nuovo Pignone, creando quelle situazioni per cui il Paese non è semplicemente un mercato, ma diventa un luogo in cui si produce, si sviluppano nuove tecnologie, si attraggono e si fanno crescere i talenti?

Per rispondere a questa domanda è nata l’idea – scaturita da un’esigenza – di riunire i rappresentanti dei “campioni internazionali”, sfociata nella creazione del “Comitato Tecnico delle Imprese Multinazionali” di Confindustria. Coloro che ne fanno parte si confrontano tutti i giorni con le decisioni di investimento e le best practice delle imprese multinazionali, e hanno passato parte della loro carriera in altri mercati. Allo stesso tempo hanno una conoscenza profonda di cosa significhi fare impresa in Italia. Sono dunque osservatori privilegiati che possono da un lato aiutarci a comunicare nel mondo il vero valore di operare in Italia, e dall’altro fare proposte concrete di come risolvere i problemi reali del Paese, che oggi fatica ad attrarre investimenti per entrare in nuovi settori in misura significativa.

E soprattutto possono indicarci quelli di cui il Paese ha bisogno per crescere.