Politiche per il lavoro e previdenziali: Giampiero Catone approfondisce il tema nel suo editoriale con un focus particolare sulla necessità di una riforma a sostegno di imprese e personale.
Politiche attive del lavoro: sono queste le priorità attuali presentate dalle Associazioni di categoria – dalla Cna alla Confesercenti, passando per la Confartigianato e la Confcommercio – al Ministro del Lavoro Marina Calderone. Oggi in Italia persiste il “gravissimo problema della carenza di manodopera specializzata”, ha sottolineato il Presidente della Confederazione nazionale degli artigiani Dario Costantini, al quale si aggiunge la questione dei contributi e dei salari. “Da qui – scrive Giampiero Catone – la richiesta unanime e indispensabile di riduzione del costo del lavoro”. Risulta quindi necessario destinare i sussidi, oggi in eccesso, a favore delle politiche attive del lavoro, garantendo contemporaneamente ai cittadini buste paga più congrue. Non solo per allineare la formazione alle esigenze produttive del Paese, ma anche per limitare la parte previdenziale che pesa sui costi delle imprese. “Il Governo – conclude Giampiero Catone – porti avanti le riforme non solo per il ruolo e i consensi avuti, ma soprattutto per il bene del Paese delle sue imprese e dei lavoratori”.
L’attuale sistema italiano non grava soltanto sul lavoro, sulle imprese e sulla manodopera, ma influisce negativamente anche sull’attività di professionisti e lavoratori autonomi. Sono gli oneri previdenziali, scrive Giampiero Catone, a incidere maggiormente sulle buste paga. “Non è azzardato dire che le imprese temono più i versamenti previdenziali che le tasse. Come ben sanno gli imprenditori le lacune normative e i tempi burocratici vanno ad incidere pesantemente sulla immediatezza degli sgravi richiesti”. Ne deriva quindi l’urgente necessità di proporre riforme “chiare e semplici” e capaci di garantire alle imprese l’erogazione di sostegni in tempi rapidi. Giampiero Catone introduce poi il tema dei contributi riportando le parole di Alberto Brambilla: “È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia quasi il 50% di pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato”, evidenzia il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Brambilla, “ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri”.
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