Il Presidente di MAIRE Fabrizio Di Amato è stato il primo ospite del podcast “Antropocentrica, ma per davvero”. Insieme al direttore de “L’Espresso” Emilio Carelli, l’imprenditore ha parlato di Industria 5.0.
“Antropocentrica, ma per davvero” è la serie podcast de “L’Espresso” che approfondisce il concetto di Industria 5.0, ovvero quella che vede l’impresa come un motore di cambiamento sociale. Realizzato in occasione del convegno, “Industria 5.0 a resilienza delle strutture logistiche strategiche”, ha esplorato i modi in cui l’industria, attraverso una prospettiva antropocentrica, resiliente e sostenibile, può diventare attore di una trasformazione sociale in grado di coniugare innovazione e rispetto per l’ambiente e la comunità. A prestare la propria voce nel primo episodio è stato Emilio Carelli, il direttore de “L’Espresso” che ha portato dietro le quinte della transizione energetica, tra tecnologie, impianti e persone. L’ospite della puntata è stato Fabrizio Di Amato, fondatore e Presidente di MAIRE, il Gruppo ingegneristico leader nell’innovazione industriale e nelle soluzioni per la decarbonizzazione. Durante il loro confronto, arricchito dalle domande di cinque studenti di ingegneria, è stato sviscerato il ruolo sempre più centrale dell’ingegnere umanista, una figura capace di combinare le competenze tecniche a una spiccata sensibilità sociale, la visione industriale a un’attenzione per l’impatto ambientale. Il tema è stato lo stesso della conferenza organizzata da Q8 e MAIRE, special partner dell’evento.
Quella dell’ingegnere, come ha ricordato Fabrizio Di Amato nella puntata di “Antropocentrica, ma per davvero”, è una figura conosciuta principalmente per le sue competenze tecniche e, storicamente, tenuta separata da quella di chi si occupava di aspetti di tipo manageriali o legati alla finanza. “Oggi, l’ingegnere umanista deve essere un bravo manager, deve capire cosa sta realizzando e quali sono i contesti sociali che lo circondano”, ha sottolineato il Presidente del Gruppo. “MAIRE crede molto in questa figura e, attraverso gli investimenti della Fondazione e le proprie azioni di formazione, sta spingendo tantissimo su questo. Devo dire che c’è grande riscontro soprattutto da parte delle giovani generazioni”. Sono proprio i giovani, d’altronde, i veri protagonisti del cambiamento. Il fattore umano dell’essere ingegnere resiste, secondo Fabrizio Di Amato, anche all’attuale corsa all’automazione. “Le macchine – ha dichiarato con convinzione il manager – ci aiutano a fare le stesse cose ma in modo diverso, più efficiente. Dietro però c’è sempre l’uomo”.
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